A Monteviale [Vi] l’alternativa ecologica alla cassa d’espansione

Il piccolo comune di Monteviale, pochi chilometri a nord ovest di Vicenza, ha in comune con il capoluogo il torrente Dioma, che confluisce poi nel Retrone. Proprio sulla Dioma c’è il progetto da anni di costruire una cassa d’espansione, un progetto regionale datato 2003 che prevede di scavare ghiaia dai campi della zona del Biron, piana rimasta miracolosamente a vocazione agricola fra la zona Ovest di Vicenza, Costabissara, Monteviale e Creazzo.

Cassa d’espansione che significherebbe perdita di fertilità dei terreni, distruzione dei sistemi idraulici costruiti a partire dal medioevo, via vai di camion, inquinamento e polvere, manomissione del paesaggio. Per questo il Gruppo Partecipazione, un gruppo di cittadini di Monteviale, ha studiato le carte e promosso la progettazione di un sistema alternativo: un bacino di laminazione più ampio, creato tramite micro-bacini comunicanti, basato sul recupero delle rogge storiche e delle canalizzazioni minori, da tempo trascurate.

Il percorso è di quelli fatti sotto traccia, senza clamore, ma con tenacia:nel gennaio 2008 il comitato interviene nelle assemblee delle consulte di quartiere, si organizzano assemblee di approfondimento con Giustino Mezzalira, tecnico ora dirigente in Veneto Agricoltura, nell’aprile 2008 si presenta il progetto in un’audizione in consiglio comunale, poi con in sindaco, con i tecnici che redigono il pat e ancora con Veneto Agricoltura. Si esegue con l’aiuto di una giovane architetto e di un giovane archeologo uno studio sugli elementi di archeologia idraulica, ponticelli e chiuse, presenti nella piana del Biron.

Oggi il sindaco di Monteviale, Giuseppe Danieli, appoggia la proposta alternativa ed è pronto a farla votare, entro fine mese, in consiglio comunale. «Ora chiediamo alla direzione Difesa del suolo della Regione di ascoltarci – dice il sindaco – e di non considerare il loro progetto, che fra l’altro si basa su dati vecchi di anni e superati dai cambiamenti climatici attuali, come l’unico possibile».

Nel dettaglio, il vecchio progetto della “classica” cassa d’espansione prevede di scavare una superficie agricola di 300 mila metri quadrati, asportando uno strato di terra di 80 centimetri medi, ma con un avvallamento maggiore al centro – con il rischio, oltretutto, di un ristagno d’acqua che impedirebbe le coltivazioni. Si parla di 90 mila metri cubi di strato vegetale superficiale da togliere, terra fertile, e di altri 250 mila di materiale di scavo. Ghiaia di cui vanno ghiotti i costruttori. La cassa conterrebbe fino a 600 mila metri cubi di acqua.

Secondo lo studio alternativo, sfruttando l’ortografia e gli avvallamenti naturali e recuperando i vecchi fossi, si potrebbe ottenere una cassa di laminazione molto più estesa, fino a 4 chilometri quadrati “inondabili”, con una capacità maggiore addirittura maggiore rispetto al progetto regionale. «Con il nostro progetto si ritornerebbe, praticamente – concludono quelli del Gruppo Partecipazione – ad un uso della campagna così come l’avevano progettata i signori Loschi tra il XV e il XVI secolo e che i nostri contadini hanno manutentato con cura fino a non troppi anni fa».

di Giulio Todescan
Tratto da EstNord

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